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Il Counseling

Il counseling nella sua applicazione originaria all’inizio del 1900 negli Stati Uniti ha scopi di tipo orientativo, prevalentemente rivolto alla ricollocazione professionale dei reduci di guerra piuttosto che agli studenti al termine del percorso scolastico o ai lavoratori disoccupati in cerca di nuova occupazione. Con la conoscenza portata dalla psicoanalisi e più in generale dalle psicoterapie si allarga il suo raggio di azione sempre più a problemi sociali, relazionali, personali. Ma è con le psicologie umanistiche e con Carl Rogers in particolare, considerato padre del counseling, che si sviluppa a partire dagli anni ‘40 un modo di interpretare e agire il counseling che ancora oggi ne costituisce il DNA: una relazione di aiuto che ha come riferimento la libertà di scelta della persona, il suo riconoscimento come detentrice di risorse interne tramite cui agire la propria capacità di autodeterminazione per la ricerca di benessere ed evoluzione personale.

“[…] Le tecniche principali di cui si avvale il consultore sono quelle che aiutano il soggetto a riconoscere e capire più chiaramente i suoi sentimenti, atteggiamenti, e modelli di reazione e lo incoraggiano a parlarne. […] Lo scopo è […] di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale, sia quelli successivi in maniera più integrata.” (Rogers Carl, Psicoterapia di Consultazione, 1942). Questa definizione che della “tecnica” di counseling offre Rogers precede di poco una definizione fondamentale di “Salute” che verrà fornita dall’OMS nel 1948, ossia, “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”. La Salute intesa come una condizione di integrazione e di benessere indipendente dal fattore malattia.

E ancora, Salute come “La capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alla sfide sociali, fisiche ed emotive”: potrebbe essere una definizione sintetica ed essenziale dell’obiettivo del counseling oggi; invece, si tratta della nuova definizione di salute data dall’OMS nel 2011. Il counseling rappresenta, in questa prospettiva, un potentissimo strumento di salute e benessere nel senso più ampio, poiché l’obiettivo del percorso è proprio favorire l’integrazione delle diverse dimensioni della persona, lo sviluppo della capacità di adattamento all’ambiente tramite la scoperta delle proprie risorse interiori e la percezione delle proprie possibilità di agire in modo sano e benefico per sé. Questo senza lavorare sulla struttura profonda del soggetto (lavoro che attiene ai percorsi psicoterapeutici) ma utilizzando i cosiddetti momenti di “crisi” esistenziale, come mutamenti lavorativi o abitativi, difficoltà relazionali, eventi di cambiamento e di passaggio di natura varia che diventano occasione di sviluppo e di possibilità di adattamento positivo.
Ogni approccio di counseling, dunque, al di là degli specifici indirizzi ha alla base una “postura” di tipo rogersiana che si sintetizza nei seguenti atteggiamenti del counselor:
Empatia: è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, che si tratti di gioia o dolore, di rabbia o di paura. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro”, è un “mettersi nei panni dell’altro”. Questa postura del counselor permette al cliente di avvertire la sua piena partecipazione e il proprio riconoscimento.
Autenticità e congruenza: è la capacità del counselor di essere spontaneo e trasparente nella relazione, mostrandosi per ciò che realmente sente, senza nascondersi dietro al proprio ruolo. Spesso i clienti non riescono a essere in contatto con sé, a esprimere autenticamente sentimenti, bisogni, pensieri e la manifestazione di autenticità del counselor favorisce un processo di consapevolezza e capacità espressiva e di azione nel cliente stesso.
Accettazione incondizionata: è la capacità di accogliere i vissuti e le esperienze del cliente astenendosi da interpretazione e giudizio, significa da parte del counselor accettare il mondo dell’altro e valorizzarlo, anche se esso esprime valori e una visione diversi dai propri. È una forma di rispetto profondo, che stimola nel cliente stesso la possibilità di una assertività che si fonda sull’autenticità e sulla autolegittimazione della propria realtà esistenziale, magari diversa da quella altrui, affermata in modo non prevaricante ma paritario e senza che la differenza altrui venga percepita come minacciosa e dunque da manipolare o sopraffare con la propria. Per il cliente sentire accoglienza senza giudizio significa non solo poter godere di uno spazio di libertà unico, ma godere di un esempio possibile di affermazione di sé e della propria verità, nel mondo e con gli altri, positivo e funzionale nella accettazione di sé e dell’altro.

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