Gestalt
“La Gestalt ci ricorda che occorre distruggere per digerire, occorre mordere, lacerare, masticare e rimasticare pazientemente, e non introiettare un pasto composto di pietanze precotte, ben di rado conformi allo stomaco del singolo.”
Ginger Serge e Anne, La Gestalt. Terapia del «con-tatto» emotivo, 2015
Trovo questo pensiero molto rappresentativo di quanto avviene nel processo di counseling (e, sempre, con livelli e modalità diverse di psicoterapia): attraversare e interpretare in modo più autentico, libero da condizionamenti e meccanismi autolimitanti, la propria espressività favorendo un contatto pieno con il proprio potere di essere e la sua manifestazione nel mondo.
L’approccio gestaltico all’interno delle relazioni di aiuto “si rivolge […] in senso più ampio a qualsiasi persona (o organizzazione) che ricerchi una migliore espansione del proprio potenziale latente, non un semplice star meglio, ma un essere di più, una migliore qualità della vita.” Anche questo approccio dunque, come quello bioenergetico, mira a quella che è una vera e propria espansione vitale. È un approccio fondato da Fritz Perls e si ispira alla Psicologia della Gestalt. Il verbo da cui deriva è gestalten, mettere in forma, dare una struttura significativa, e il termine annesso Gestaltung indica un’azione prevista, in corso o realizzata, implicante il processo di messa in forma, appunto una formazione.
Mettere in forma: che cosa? L’espressione del proprio sé. Il lavoro gestaltico, o meglio, la relazione gestaltica tra counselor e cliente è tesa proprio a favorire quell’adattamento creativo tramite un contatto con sé e gli altri che sveli e renda consapevoli i meccanismi di blocco, i processi di evitamento, le paure, le inibizioni, le illusioni. Il fulcro del lavoro non è spiegare o concettualizzare queste difficoltà, ma viverle e vivere le possibilità emergenti di cambiamento nello spazio della relazione: la sperimentazione con il corpo, nello spazio, nella relazione con gli oggetti, con il counselor stesso genera (“butta fuori”), mette in primo piano il come un comportamento esiste e il come può esistere (eventualmente) in modo diverso, più buono e salutare per sé.
Nel lavoro gestaltico il cambiamento non si vede prospettato o progettato, si sperimenta, lo si fa: e non è così essenziale il “sapere perché” qualcosa avviene, ma il “sentire come” poiché è nel “come” che risiede la possibilità di cambiamento. Nella relazione di aiuto gestaltica, così come in quella bioenergetica, l’azione maieutica del counselor si intreccia con azioni che dirigono/invitano verso una possibilità di azione, rispettose e coerenti con il sentire e lo stato del cliente. Le tecniche verbali e non, ma soprattutto la possibilità di usare creativamente ciò che emerge – nello spazio della relazione e del setting stesso – dal corpo, dal sentire e dal vissuto attuale del cliente sono occasioni di scoperta e manifestazione del proprio potere da parte del cliente.
Nella postura del counselor fatta di autenticità, accoglienza, assenza di giudizio, condivisione, disponibilità a osare, a fidarsi di sé e dell’altro, coraggio ad andare e accompagnare a sperimentare i limiti (all’interno del campo previsto dalla relazione di counseling) stanno le necessarie porte di accesso al processo creativo e di manifestazione dell’espressività personale cui tende il percorso di counseling.